Il tutto avvenne con grande scorno dei puristi, ovviamente, che considerarono merda pura le produzioni orientate sul groove di quegli anni leggete cosa scriveva Hugh Witt del Jazz Journal: "È triste che un'etichetta con la reputazione della Blue Note si riduca a registrare i meandri casuali della musica pop di sottofondo." Da questa necessità materiale fu deciso di aprire le porte e la mente a tutto quello che girava intorno alla musica black via libera quindi alle commistioni con il funk, il soul e quant’altro, da affidare a musicisti che non facevano dell’improvvisazione la loro ragione primaria. Ormai esauritasi la spinta propulsiva del be-bop prima, dell’hard-bop poi ed essendo troppo elitario il free-jazz per poter sperare di vendere copie a carrettate, l’etichetta creata da Alfred Lion e Frances Wolff, detto senza tanti giri di parole, aveva bisogno di far cassa per non chiudere. Sul finire degli anni sessanta la storica etichetta Blue Note non se la passava tanto bene.
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